Riflessioni Ne Perdantur

“Poveri, non ultimi”: Dalla Dilexi te all’impegno educativo quotidiano

C’è un passaggio della Dilexi te, l’esortazione sull’amore per i poveri completata da Papa Leone XIV dopo la morte di Francesco, che interpella direttamente anche noi: «La scelta prioritaria per i poveri genera un rinnovamento straordinario nella Chiesa e nella società, quando siamo capaci di liberarci dall’autoreferenzialità e di ascoltare il loro grido».
Non si tratta solo di una questione di carità o di assistenza. È una scelta di campo, un orientamento di vita e di istituzione. Per ENGIM, significa ricordare ogni giorno che la formazione non è mai neutrale: o è al servizio della liberazione dei poveri, o finisce per consolidare le ingiustizie che li generano.

Il rischio di un’autoreferenzialità “istituzionale” – ecclesiale o civile – è sempre presente. Lo vediamo anche nel mondo del lavoro e dell’educazione: programmi, piani e politiche spesso dichiarano attenzione ai fragili, ma in realtà li tengono ai margini. I poveri diventano destinatari, non protagonisti. Vengono studiati, non ascoltati.

Eppure il Vangelo e la Dottrina Sociale della Chiesa ci ricordano che i poveri non sono un problema da risolvere ma un luogo teologico da abitare, una presenza che rivela la verità di Dio e dell’uomo. Come scrive Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, «senza l’opzione preferenziale per i poveri, l’annuncio del Vangelo perde la sua forza».

Tra strutture e coscienze

La povertà non è frutto del destino. È l’effetto di scelte, di modelli economici, di culture che premiano il potere e il possesso, e che trasformano la disuguaglianza in normalità. La Dilexi te denuncia le radici di questa disumanità: la mancanza di lavoro, di casa, di terra, di diritti sociali e lavorativi (DT 81).
Ma se la povertà è una costruzione umana, allora può essere decostruita e trasformata. Serve un cambio di mentalità, una conversione collettiva. La cultura dello scarto – che mette da parte ciò che non produce – si può vincere solo con una cultura dell’inclusione e della cura.
Nelle nostre aule e nei nostri laboratori, questa conversione inizia ogni volta che uno studente fragile trova un luogo dove contare, dove qualcuno crede in lui, dove la sua storia diventa valore e non ostacolo. Lì si realizza il Ne Perdantur: che nessuno si perda, che nessuno sia trattato come inutile o “di serie B”.

Oltre la meritocrazia distorta

Viviamo in un tempo in cui il merito è spesso idolatrato. Ma, come ricordava già Aggiornamenti Sociali, un merito senza giustizia diventa discriminazione. Non tutti partiamo dallo stesso punto, non tutti abbiamo avuto le stesse opportunità.
Quando la povertà viene letta come una “colpa individuale”, la società diventa spietata. La Dilexi te lo dice con chiarezza: «come se la povertà fosse una scelta» (DT 14).
ENGIM nasce invece dall’intuizione di un uomo – l’uomo del Ne Perdantur – che vide nei giovani poveri non “ultimi”, ma “primi destinatari” della grazia di Dio e della missione educativa. È questa la rivoluzione che dobbiamo custodire e rilanciare.

Un altro sguardo: fratelli e sorelle

Papa Leone XIV invita a compiere un salto linguistico e spirituale: smettere di parlare dei “poveri” e cominciare a dire “fratelli e sorelle”. Non è solo una questione di parole: è un cambio di sguardo.
La fraternità non è assistenza, ma riconoscimento reciproco. È la possibilità di costruire una società dove chi ha poco non è definito dal poco che ha, ma dal molto che può donare.
Questa è anche la pedagogia del Ne Perdantur: non fissarsi sul deficit, ma liberare le potenzialità di ciascuno. Ogni giovane è un dono, ogni comunità è una risorsa, ogni povero è una possibilità di rigenerazione.

Un rinnovamento straordinario

La Dilexi te annuncia un “rinnovamento straordinario” che parte proprio dai poveri. Non un sogno, ma un processo concreto di conversione e di giustizia.
Come ENGIM, siamo chiamati a generare luoghi di fraternità, spazi educativi dove il lavoro diventi dignità e non sfruttamento, dove la formazione sia accesso alla libertà e non selezione dei migliori.
Papa Francesco ci ha insegnato che «la realtà è superiore all’idea». E la realtà è che oggi milioni di persone vivono ancora con pochi dollari al giorno, ma non hanno perso la speranza. Da loro possiamo imparare il coraggio, la fiducia, la resistenza.
Da loro può rinascere la Chiesa e la società.

E allora, sì: poveri, ma non ultimi.
Perché il futuro nasce da chi non si arrende, da chi, anche con poco, continua a partorire vita.
È questa la nostra alleanza educativa, la nostra scelta di campo, la nostra fede nel mondo che verrà.

padre Antonio Teodoro Lucente
Presidente ENGIM