In questi giorni ho allestito come ogni anno il presepe. Difendo i canti di Natale nelle scuole e dissento da insegnanti e dirigenti scolastici che cercano di vietarli.
Penso che queste tradizioni vadano salvaguardate, anche in virtù della molteplicità di significati che hanno assunto.
Ognuno può trovarvi il proprio, senza scrupoli di neutralità che finirebbero per impoverire il nostro mondo simbolico e culturale.

Purtroppo però il presepe e i canti di Natale, come il crocefisso nelle scuole e in altri luoghi pubblici, sono diventati oggetto di campagne politiche contraddittorie e inquietanti. Sono oggi branditi come vessilli di una tradizione culturale che si sente assediata e minacciata, e hanno trovato interessati sostenitori in forze politiche che difendono a gran voce i simboli ma ne svuotano il significato con le loro scelte. 

In queste settimane di cammino verso il Natale assistiamo ai presepi viventi di giovani migranti sbattuti per strada, comprese coppie di genitori con bambini piccolissimi. Come Yusuf (Giuseppe, che ironia!), Faith (Fede) e la loro bimba di cinque mesi: titolari di protezione umanitaria, ma ormai privi di accoglienza.

Che disagio che provo nel vedere inneggiare al crocifisso ma dimenticano la croce, Che disagio che provo nel vedere inneggiare al presepe ma negare il Vangelo, Che disagio che provo nel vedere inneggiare ci si intenerisce ai canti di Natale ma non ci si lascia toccare dalla sofferenza di quanti passeranno le prossime notti all’addiaccio.

RESTA L’ESTETICA DEL NATALE, il guscio formale, ma la sostanza spirituale e fraterna è evaporata. La religione cattolica ridotta a cultura e tradizione mantiene un diffuso consenso, accresciuto dalla magica atmosfera del Natale, ma perde la sua anima. Altri per fortuna aprono i cuori e le braccia per soccorrere i nuovi reietti di un Natale senza umanità e senza speranza.

LA LEZIONE È INTERESSANTE

Quando si cominciano a vedere i più deboli come una minaccia da cui difendersi, la repressione prende di mira dapprima gli stranieri senza diritti, poi gli italiani più fragili, quindi sarà il turno di altri un po’ meno poveri.

Fa riflettere anche il legame esplicito con il Natale e la trasformazione della festa dell’accoglienza e della solidarietà in festa del consumo. Spesso le regioni più ricche e innovative d’Italia sono anche quelle più schierate contro gli ultimi.

Queste misure possono essere definite politiche locali di esclusione: politiche eminentemente simboliche, probabilmente con limitati effetti pratici, ma non di meno incisive sul piano culturale.
Tracciano i confini della comunità legittima, dividendo “noi” e “loro”. Non siamo lontani dall’ancien régime, quando i poveri erano assimilati ai malfattori, spesso cacciati e perseguitati come “inutili al mondo”. La novità è che ora vengono colpiti anche i volontari che li assistono.

Arriviamo a questo Natale con alcune angosce – fatiche nel cuore e vorrei/vorremmo poterle deporle e guarire davanti al Presepio: avremo la pace o la guerra? Come si risolverà la crisi economica, che per alcuni è perdita di guadagno e di ricchezza? Come si risolverà la crisi economica che per molti è: disoccupazione, strettezze di ogni genere, fame?

Cosa vi posso dire? Come uomo, come prete? Come prete ho il dovere di parlarvi e voi di ascoltare una parola chiara e audace, la quale non è la solita affermazione: si sta male perché abbiamo abbandonato la strada della religione. Se mi accontentassi di questa risposta, avreste ragione di non essere soddisfatti.

Perché si sta tanto male, oggi? Quasi tutti sono d'accordo nel dire che la colpa è delle barriere.

Quali barriere? Tutte: dalle doganali alle nazionali, dalle individuali alle collettive, anche quelle che sembrano giustificate dai sacri egoismi.

Trovata la causa, trovato il rimedio: demoliamo le barriere! Parrebbe una cosa facile, invece, sia perché manchi la volontà o l'animo, nessuno ci si prova, o trovandovisi non conclude. Vedo gente che col pretesto di demolire qualche barriera ha finito per innalzarne di nuove e di più gravi.

LE BARRIERE

LE BARRIERE SONO COSTRUZIONI UMANE: Dio non le ha volute, né comandate. Dio non ha fatto le montagne, i fiumi, i mari, perché dividessero i popoli, come, distribuendo variamente i suoi doni di fecondità, di forza, di intelligenza, non ha inteso che servissero come motivo di separazione e di differenza tra gli uomini. Neppure il muro di casa o la cinta del campo, neppure la diversità degli usi, del linguaggio, dei colori, NIENTE È DIVISORIO NEL PENSIERO DIVINO.

Quindi, la NOSTRA FEDE LA NOSTRA RELIGIONE non approva nessuna barriera.

DOVE NASCNO LE BARRIERE? Da una prima barriera, che a buon diritto porta il nome di originale: quella che l'uomo ha innalzato tra sé e Dio. Le rimanenti non sono che l'ombra di quella.

NON VEDENDO PIÙ DIO, l'uomo non ha più visto neppure il fratello e si è fatto furbo, padrone, prepotente, nemico.

NON VEDENDO PIÙ IL PADRE, l'uomo ha cercato di diventare provvidenza a se stesso in qualunque modo…

NOI NON SIAMO CAPACI DI DISTRUGGERE LE BARRIERE. È l'opera delle nostre mani e ne siamo perdutamente innamorati.

Fu necessario che venisse Uno di là, Gesù Cristo a spezzare il muro… Le barriere tra gli uomini cadranno soltanto quando, in unione col Cristo vorremo la ripresa in pieno dell'unità tra il cielo e la terra. La nostra impotenza di mente, di volontà e di cuore può essere superata dalla forza che viene dal Signore.

Noi l'abbiamo, nelle nostre raffigurazioni lasciato allo stato di Bambino e di Crocifisso, cioè in una condizione di impotenza. Ma pure in tale rappresentazione che dice la nostra mancata collaborazione e quindi la nostra grande responsabilità, Gesù Cristo ci parla e ci illumina, in quanto che in lui sofferente come Bambino e come Crocifisso, noi possiamo intravedere gli effetti spaventosi delle nostre divisioni, cioè dei nostri peccati.

Nel Presepio vediamo bambini di tutto il mondo che piangono di fame e di abbandono, sulla Croce i nostri compagni disoccupati, taglieggiati, oppressi e crocifissi.

ECCO UN PRIMO INVITO PER NOI DI ENGIM, Non ascoltiamo chi vuole dimostrarci che le barriere sono necessarie e che senza una guerra non si rimette a posto nulla. Guardiamo il Presepio e troveremo la risposta all'incosciente menzogna.

E con la risposta, una grande speranza, perché è dal Presepio che incomincia la Redenzione.

Sentitemi. Se un giorno fosse passato un bambino, chi avrebbe osato sparare?
Fra le trincee costruite dalla nostra cattiveria è passato e passa non soltanto nel giorno di Natale, Gesù, che ha il volto, gli occhi, la grazia incantevole dei nostri bambini.
Chi oserà sparargli contro?

Dio si impegna a rendere possibile, nonostante tutto, grazie alla nascita di un bambino.

Natale è un varco, una breccia di luce nella notte nei nostri muri

Natale è una parola magica che in questo momento fiorisce un po’ dovunque. Natale si rivela sempre più un appuntamento gastronomico, una fiera consumistica, l’apogeo del commercio di fine anno. Tutto questo, si dice, in onore di Gesù, del ricordo della sua nascita. La realtà dell’incarnazione oltrepassa troppo l’intelligenza degli uomini e allora questi l’hanno ridotto a loro misura, privandolo della sua forza straordinaria, della sua luce folgorante, del suo messaggio inaudito. Eppure per i discepoli di Gesù esso continua a evocare la folle avventura di Dio, la stupenda dignità dell’uomo, l’alleanza definitiva tra Dio e l’umanità.

LA FOLLE AVVENTURA DI DIO. Dio è in mezzo agli uomini, Dio è sulle nostre strade. Lungo la storia Dio aveva fatto intendere in mille modi di amare gli uomini appassionatamente. Ed ecco che ora inventa qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare: colui che è il più grande, si fa piccolo, in tutti i sensi della parolaEgli assume tutto della nostra vita, dalla nascita alla morte. Non fa finta di essere uno di noi, diventa totalmente e veramente uomo. Vuoi sapere chi è Dio? Non ti resta che guardare Gesù che nasce, vive e muore. È lui il volto umano di Dio, la rivelazione fedele del cuore di Dio.

La sorprendente dignità dell’uomo. Come si può dire che l’essere umano non vale nulla quando Dio stesso si muove per venire a lui? Gesù ci ha insegnato ad avere un grande rispetto per ognuno, grande o piccolo, sano o malato, donna o uomo. Ciascuno si sente da lui riconosciuto, amato, valorizzato. Così com’è, per se stesso, senza secondi fini.

Nulla di ciò che è umano, fino alle incombenze più umili, è stato disprezzato. Sfigurare l’uomo, con qualsiasi pretesto, significa offendere Dio che si porta garante della sua dignità. In se stesso Gesù unisce per sempre l’uomo e Dio. La comunicazione è definitivamente assicurata. Lui, nostro fratello, ci inserisce nell’intimità di Dio, ci trasforma a sua immagine, per fare di noi tutti dei figli di Dio. Natale, la venuta di Gesù, è la Buona Novella per tutti i popoli, è Dio stesso che ci risveglia e che si offre in dono per noi.

Giuseppe, con la giovane moglie, va a Betlemme, la sua terra d’origine, la terra degli antenati. Abbandonano la loro casa per questo piccolo esodo. E Dio fa la stessa cosa. Lascia la sua dimora per prendere posto nella carovana umana. L’Altissimo si fa piccolo. Il Signore dell’universo viene deposto in una mangiatoia. Del resto un Dio che affronta questo impensabile viaggio che lo porta a diventare un uomo non può che nascere per strada, tra la gente che cammina.

Diversamente dai grandi della terra, tuttavia, Dio non fa tremare il mondo, ma si immerge nella corrente della vita ordinaria. Non vuole farsi notare, ma si nasconde. Abbandona la potenza per sposare la debolezza. Di conseguenza saranno i pastori i primi ad essere avvisati di questa nascita. I fedeli osservanti della Legge non parlavano a gente impura. Gli angeli, invece, ne fanno i loro interlocutori privilegiati. La comunicazione tra cielo e terra, ristabilita per sempre, passa attraverso di loro.

La priorità è di chi non ha nulla, di chi non conta niente. Certo, questo modo di fare di Dio, il suo stile, non manca di registrare rifiuti. Ci si aspettava un Dio che sarebbe apparso nella sua potenza, ma Dio arriva nella fragilità di un bambino. Non si è accontentato di prendere posto, ma ha preso carne, in mezzo al suo popolo. Si è fatto nostro prossimo, andando oltre i nostri sogni più folli. L’avvenimento più importante della storia del mondo passa quasi inosservato, mentre apre orizzonti inverosimili. Dio diventa uno di noi perché noi diventiamo una sola cosa con lui.

Natale è un varco, una breccia di luce nella nostra notte, una boccata di speranza. Natale è Gesù che prende corpo, oggi, in mezzo a noi. Gesù che trasforma i nostri cuori, le nostre esistenze, il nostro mondo. Senza far rumore. Finché ci sono uomini e donne che l’accolgono, finché l’amore ha la meglio sulle nostre resistenze, non possiamo disperare.

Il senso di quello che oggi celebriamo

Il profeta Isaia annuncia al suo popolo che il tempo della tristezza e della desolazione volge al termine: arriva colui che salva non solo Israele, ma tutta l’umanità. Attraverso di lui Dio manifesta tutto l’amore per il suo popolo e chiede solamente di essere accolto, non a parole, ma con la propria vita.

Ma quale percorso dobbiamo affrontare se vogliamo sperimentare questo amore? Una possibile risposta ce la offrono i pastori e Maria diventando icone visibili di un itinerario a tappe, scandito da alcuni verbi decisivi. In essi come credenti si può ritrovare agevolmente alcuni passaggi ai quali siamo chiamati a compiere nella nostra esistenza di fede.

ANDARE, TROVARE, ANNUNCIARE

Dai pastori, da quello che fanno e da quello che dicono: sono loro le nostre guide nella fede e già questo la dice lunga sulle scelte di Dio. Gli emarginati, i poco raccomandabili, gli impuri (perché a stretto contatto con i loro animali), i poco devoti di fatto sono quelli che tracciano per noi il cammino da affrontare. Questa gente che per lo più vive per strada ci fa scoprire una prima realtà: la fede è legata ad un movimento. Non si incontra Dio se si rimane incollati alla propria poltrona, alle proprie sicurezze e protezioni. La storia della salvezza è fatta di percorsi e di deviazioni, in ogni caso di uomini e donne in movimento.

Ma non basta: se non ci si mette per strada non si può “vedere” e non si può “trovare”. I due verbi sono in stretto collegamento tra di loro: andare per vedere, per trovare. A provocare la partenza, però, è un messaggio: «È il Signore che ci ha fatto conoscere questo avvenimento».

Se non fosse stato lui a rivelare quello che era accaduto nella notte, chi se ne sarebbe accorto? Tutto parte da lui, dalla sua Parola. Ma tutto si ferma se i destinatari si limitano ad udire. Solo chi si mette in viaggio dimostra di prenderla sul serio«Vedere» e «trovare» sono due verbi che rallegrano sempre chi cerca Dio. E tuttavia non possiamo fare a meno di ricordare che cosa vedono i pastori, che cosa trovano: «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia». Nulla di appariscente o di inequivocabile. È stato loro annunciato un «salvatore», il «Cristo Signore». Andare vi assicura di vedere e di trovare, ma solo un segno. Ci vuole la fede per riconoscere in quel segno del tutto modesto l’inviato di Dio.

La Parola corre, non si ferma. Ai pastori viene spontaneo – dopo aver visto – di riferire «ciò che del bambino era stato detto loro». A correre è la Parola, anche se lo fa attraverso la bocca dei pastori. A prevalere non sono le parole degli uomini, ma la parola di Dio, anche se gli uomini costituiscono un tramite indispensabile. D’altra parte, anche gli uomini hanno parole loro da pronunciare: “glorificano” e “lodano” Dio per tutto quello che hanno udito e visto. A prevalere è sempre l’ascolto di un annuncio; senza di esso nulla sarebbe potuto accadere. Come a dire: i segni non mancano, ma a guidare continuamente il credente è l’ascolto.

Come vivere, dunque, questo Natale? Viviamo quotidianamente il nostro rapporto con Dio, non all’insegna del magico, dell’eccezionale, ma nel tessuto delle nostre storie quotidiane. È lì che Dio ci viene incontro. Oggi, dunque, siamo chiamati a vivere il Natale con le gambe che ci porteranno in una chiesa per ascoltare e vedere. I segni non mancheranno dentro e fuori il luogo in cui si raduna la santa assemblea. Ma siamo anche invitati ad attivare il cuore per custodire e meditare, per riconoscere e collegare eventi e parole.

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Jacques Couture (1929-1995) è stato un poliedrico gesuita canadese: prete operaio, poi direttamente impegnato in politica (con il permesso dei superiori si candidò a sindaco di Quebec City, entrò in Parlamento e divenne Ministro del Lavoro dal 1976 al 1980), infine missionario in Madagascar. Nel 1986 scrisse una preghiera che offro a tutti noi di ENGIM questo spunto di riflessione, porgendo a tutti gli auguri di questo nostro NATALE. 

Il Dio che conosco dimora all'ombra della mia casa.
Ogni giorno mendica un po' di riso
o ancor più, uno sguardo d'amore, un volto che lo accolga.

Il Dio che conosco è nato sulla paglia,
ed è morto sul legno.
E dal lontano giorno di Pasqua
vaga per il mondo,
E si confonde anonimo tra folla,
tra gli emarginati, gli indesiderati.

Lo vedo comparire nelle strade del quartiere.
Fa di tutto per mimetizzarsi, si rivela appena,
e nove volte su dieci non viene riconosciuto...

Il Dio che conosco non ha potere, è silenzioso,
È un Dio che disturba.
Non mi fa dormire in pace.
Turba la quiete delle mie notti.
Dice che ha fame, che ha sete e che è nudo,
Che è uno straniero, un prigioniero.

Il suo urlo risuona dai bassifondi.
Geme abbandonato, rifiutato.
Mostra senza vergogna il suo corpo scarno e martoriato.
L'altro giorno mi è sembrato di sentire la sua voce:

"Sono ancora qui, non ti ho mai abbandonato.
Non permettere che io muoia di fame,
Che io trascorra ancora un'altra notte al freddo, senza un tetto sopra la mia testa.
Non lasciarmi in mezzo a tanta sofferenza, a subire ingiustizie, a essere colpito e torturato.

Ho bisogno di te, oggi, stasera, adesso!
Busso alla porta ma nessuno risponde.
Fa freddo, sono solo, nessuno mi aiuta a rialzarmi,
nessuno viene a curare le mie ferite".

Il Dio che conosco si chiama Gesù Cristo
e dimora all'ombra della mia casa.