Riflessioni Ne Perdantur

La rivoluzione del CON: il noi che salva

Novembre arriva sempre così: con passo lento, quasi contemplativo, e ci obbliga a fermarci. Ci invita a guardare dentro le crepe del nostro tempo, a chiederci che cosa tiene unite o disperde le nostre vite, a discernere ciò che resta davvero umano nel frastuono delle connessioni che non generano legami. Viviamo in un tempo che ci vuole informati, veloci, performanti, e che allo stesso tempo ci rende più soli, più vulnerabili, più esposti. Le relazioni si assottigliano, la fiducia evapora, la speranza fatica a rialzarsi.

Dentro questo scenario, ENGIM sa di portare una responsabilità precisa: custodire il noi. Non un noi retorico, ma il noi concreto che ricostruisce il tessuto delle relazioni, che sostiene giovani e lavoratori, che dice a chi entra nei nostri centri: non sei solo, non sarai lasciato indietro.
La Dottrina Sociale della Chiesa ci ammonisce con parole essenziali: la persona non esiste senza gli altri, non diventa se stessa senza un contesto di relazioni significative, non cresce senza comunità. Papa Francesco lo ha gridato come profezia: nessuno si salva da solo.

Dentro questo appello, una parola si impone con forza: con.
Il “con” non è un accessorio della vita: è la sua radice. Non è una scelta eventuale, ma la struttura stessa dell’esistenza. Siamo con prima di capirlo, prima di deciderlo, persino prima di crederlo. La fede lo conferma nel nome più semplice e più profondo con cui Dio entra nella storia: Emmanuele, il Dio-con-noi.

Se questo è vero, allora il “con” diventa la preposizione essenziale della nostra missione educativa. Educare non significa organizzare percorsi, applicare metodi, produrre risultati: significa camminare con, leggere la realtà con, cadere e rialzarsi con, sperare con. Significa riconoscere che l’incontro è più decisivo di qualsiasi tecnica, che la vicinanza è più feconda di qualsiasi struttura, che la carne dell’educazione è la relazione.

La crisi del nostro tempo è, prima di tutto, una crisi di relazione. L’individualismo ci ha convinti che la libertà sia separazione, la dignità performance, il futuro merce di scambio. E noi ne vediamo ogni giorno gli effetti: ragazzi che non credono più nella possibilità di cambiare il proprio destino, lavoratori schiacciati dalla fatica, famiglie che cercano punti di appoggio, territori che perdono coesione sociale ed educativa. È esattamente in questo vuoto che l’opera educativa di ENGIM assume un valore politico e spirituale insieme: ricucire ciò che si lacera, tenere insieme ciò che il mondo separa, generare un “noi” che salva.

In questa prospettiva, perfino le parole più piccole della lingua - le preposizioni - rivelano un tesoro straordinario. Sono parole di passaggio, quasi invisibili, eppure costruiscono ponti, uniscono significati, danno forma alle frasi. Così accade anche nell’educazione: sono i legami a dare senso alle parole, non il contrario. Educare di una storia e di un popolo significa riconoscere che apparteniamo a radici che ci precedono. Educare a una vita libera e possibile significa indicare una direzione concreta e non egoistica. Educare da ciò che siamo ricorda che non partiamo mai da zero, ma sempre dalle nostre fragilità e dalle nostre fedeltà. Educare in mezzo alla vita significa non tenersi a distanza, ma accogliere il reale nella sua complessità. Educare su qualcuno significa scommettere su di lui anche quando sembra impossibile. Educare per la vita, per la libertà, per la fraternità significa assumere una missione che non si esaurisce nella lezione, ma abita la storia. Educare tra e fra le differenze significa diventare mediatori di incontri e non costruttori di muri.
E infine, al centro di tutto, educare con: la preposizione più radicale, quella che rivela la verità dell’umano e la vocazione più alta del nostro compito.

La fraternità è il “con” fatto carne. È la forma concreta dell’essere insieme, la nudità condivisa che ci libera dalla tentazione di apparire invincibili, la forza mite che nasce quando riconosciamo che non bastiamo a noi stessi. La fraternità si manifesta quando smettiamo di difenderci, quando lasciamo che l’altro diventi un pezzo della nostra storia, quando accettiamo di restare anche dentro la fatica, la delusione, le cadute. È il luogo dove impariamo a chiedere aiuto, a perdonare, a ricominciare. ENGIM vuole essere questo: uno spazio di fraternità reale, una casa senza porte sbarrate, un luogo dove la fragilità non è scarto ma passaggio, dove ogni vita può trovare un tempo e un volto che la accompagna.

È dentro questa fraternità che nasce il Ne perdantur, il cuore profondo della nostra identità murialdina: non perdere nessuno. Non permettere che una vita, una storia, un volto vadano sprecati. Il Vangelo lo dice con una precisione che non lascia vie di fuga: che io non perda nulla di quanto il Padre mi ha dato. Questa frase è il mandato di ogni educatore ENGIM
Non perdere il ragazzo difficile.
Non perdere il lavoratore stanco.
Non perdere la famiglia ferita.
Non perdere il territorio che si svuota.
Non perdere la speranza fragile di chi entra nei nostri corridoi cercando ossigeno, non gloria.
È un impegno duro, radicale, militante. Ma è l’unico modo onesto di educare.

La rivoluzione del “con” diventa così una vera conversione culturale: passare dalla competizione alla cooperazione, dal controllo alla corresponsabilità, dalla solitudine alla comunità, dalla paura dell’altro alla cura dell’altro. È la direzione del Patto Educativo Globale di Papa Francesco. È il nuovo umanesimo relazionale che ENGIM vuole concretizzare ogni giorno, non come teoria ma come carne.

Per questo novembre ci consegna un compito semplice e rivoluzionario: vivere con.
Non annunciare soltanto: vivere.
Vivere con i giovani che cercano un varco.
Con i lavoratori che reggono il peso della quotidianità.
Con chi fa fatica e non lo dice.
Con chi è arrivato da poco e non ha ancora trovato casa.
Con chi rischia davvero di perdersi.

E se, in questo mese, anche solo una vita verrà custodita,
se anche solo un ragazzo si sentirà visto,
se anche solo una speranza tornerà a respirare,
allora la rivoluzione del “con” avrà già cambiato il mondo.
Il nostro mondo.

Ne perdantur.
Perché educare è esattamente questo:
camminare con, credere con, sperare con,
fino a quando nessuno sarà lasciato indietro.

padre Antonio Teodoro Lucente
Presidente ENGIM