Riflessioni Ne Perdantur
Educare è costruire ponti, non muri
C’è un’immagine che ci accompagna in questo inizio d’anno: il poliedro.
Tante facce, nessuna uguale all’altra, eppure tutte capaci di illuminarsi a vicenda. È la metafora di un’educazione che non si accontenta di una sola direzione, ma accoglie complessità, tensioni, domande.
È il contrario della semplificazione che oggi domina la politica e la comunicazione. Educare è fatica, ma anche grazia: è la scelta di credere che ogni giovane sia un seme di futuro, non una zavorra del presente.
Per questo, l’educazione non è mai un gesto neutro.
È sempre una presa di posizione. O si costruiscono ponti, oppure si alzano muri.
O si custodisce la dignità di chi resta indietro, oppure si chiude la porta e lo si lascia al margine.
Non esistono vie intermedie. La nostra fedeltà al ne perdantur nasce qui: non perdere nessuno, non cedere alla logica dello scarto, non trasformare la scuola in un filtro selettivo, ma in una comunità che apre strade.
Le facce di questo poliedro, e sono tutte sfide concrete: integrare, abitare, liberare, creare legami, generare futuro, scommettere tutto, assumere responsabilità condivise.
E poi ancora: celebrare le diversità, affrontare il cambiamento antropologico, riconoscere il valore dell’inquietudine, imparare la pedagogia della domanda, non maltrattare i limiti, vivere una fecondità generativa e familiare.
Non sono slogan: sono piste di lavoro, cammini che ci obbligano a non restare fermi.
E allora chiediamoci: siamo pronti a educare dentro le inquietudini dei giovani senza soffocarle?
Siamo capaci di abitare le trasformazioni antropologiche senza paura, riconoscendo che in esse c’è un appello di Dio alla nostra libertà?
Siamo davvero disposti a scommettere tutto sull’educazione, quando la società investe altrove?
Il rischio è sempre lo stesso: ridurre l’educazione a un addestramento per il mercato o a un rituale di certificazioni. Ma educare, per noi, significa aprire la vita.
Significa permettere ai ragazzi di diventare protagonisti, di avere visioni, di sentirsi parte di una storia più grande. Significa offrire loro radici solide e, insieme, mani solidali.
Non possiamo cullarci in un compito burocratico.
Ci viene chiesto un impegno profetico: fare dell’educazione un atto di giustizia, di pace e di fraternità. In un mondo che costruisce barriere che assiste impassibile alla negazione dei diritti universali che resta muta davanti a genocidi, il nostro compito è osare ponti. In una società che teme la diversità, noi dobbiamo celebrarla. In un tempo che smarrisce il futuro, dobbiamo generare speranza.
Ecco, allora, il mandato di quest’anno formativo: essere solidi e solidali. Solidi come radici che non si piegano al vento delle mode. Solidali come mani che non si ritirano davanti alla fragilità.
Educatori che non si lasciano paralizzare dalla paura, ma che accettano l’inquietudine come motore. Comunità che non si limitano a conservare ceneri, ma che accendono fuochi.
Perché educare è sempre un atto d’amore. È scegliere, ogni giorno, che nessuno vada perduto.
E a voi, formatrici e formatori ENGIM, va il nostro augurio:
che possiate essere radici che danno stabilità e ali che aprono orizzonti;
che sappiate custodire i limiti senza spegnere i sogni;
che non vi manchi mai il coraggio di accendere inquietudini e di generare futuro.
Che questo nuovo anno formativo sia per ciascuno di voi un tempo di grazia e di lotta, di gioie condivise e di fatiche feconde, perché davvero – insieme – nessuno si perda.
padre Antonio Teodoro Lucente
Presidente ENGIM