Lunedì 29 marzo 2021

Le macchine sostituiranno l’uomo. È vero, in molte mansioni. Inutile abbattersi, meglio attivarsi per capire sullo sviluppo di quali competenze è meglio concentrare le energie. Ci sono competenze proprie dell’uomo che i driver digitali non saranno mai in grado di sostituire e che diventeranno chiave in una nuova riorganizzazione del lavoro 4.0

Nella maggior parte dei settori produttivi la manodopera sarà sostituita dai robot, ma la “mentedopera” no, resterà in capo alle persone e sarà sempre più cruciale per il buon funzionamento dell’intera organizzazione. Pensiamo per esempio a quanto l’arrivo di nuove tecnologie digitali stia liberando in azienda energie meglio spendibili nella condivisione di competenze all’interno di un team di lavoro, in cui abilità e conoscenze tecniche lasciano il posto al confronto e alle relazioni tra colleghi, ben più importanti per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Essere in sintonia con la tecnologia sarà sicuramente un elemento abilitante che aiuterà i lavoratori, anche ai livelli più bassi, a prendere decisioni con sicurezza e responsabilità, incoraggiando un atteggiamento sempre più “imprenditivo” e restituendo, in cambio, alti livelli di gratificazione personale e senso di appartenenza all’organizzazione.

Nel panorama che si prospetta, le competenze tecniche che sono state finora il focus di ogni professione, saranno la chiave per formare le competenze trasversali (soft skills) che stanno diventando l’ago della bilancia per l’inserimento lavorativo. Non tutte le professioni presenti o del futuro portano al loro interno i paradigmi dell’industria 4.0, ma è certo che il “driver digitale” costituirà la base sulla quale costruire i nuovi modelli formativi mutuati dall’industria 4.0 stessa.

A quali competenze ci si deve formare, dunque? Le conoscenze (il sapere) e le abilità (saper fare) lasceranno il passo alla capacità di “imparare ad imparare” continuamente (saper essere) per inserirsi in contesti produttivi dove i fattori in gioco possono cambiare anche molto velocemente. È l’«imparare a saper diventare» la chiave: sviluppare le competenze complesse della cooperazione e relazione, del lavoro in team orientato ai processi e non più alle funzioni.

All’ente formativo l’onere di ripensare i percorsi: un lavoro in sinergia con il mondo delle imprese con il quale costruire una sorta di eco-sistema educativo volto a sviluppare l’occupabilità delle persone, indipendentemente dalla filiera produttiva in cui queste andranno a lavorare. L’occupabilità sarà data dall’insieme di competenze come le capacità progettuali e di agire acquisite dai lavoratori, in un percorso continuo e duraturo di accompagnamento e orientamento, upskilling e reskilling, messo in atto dall’ente formativo con l’intera comunità educante.

Marco Muzzarelli
Direttore nazionale Fondazione ENGIM